In questi ultimi anni stiamo assistendo in campo farmaceutico, indistintamente dalla produzione allo studio clinico del farmaco, a un incremento dell’outsourcing da parte delle multinazionali, sempre più alle prese con fenomeni di ristrutturazione, fusione e cessione di rami d’azienda. Per cui, nel caso della produzione del farmaco, si verificano operazioni di “management buy-out”, in cui viene venduta la produzione ai propri dirigenti d’azienda, o la stessa viene affi data a fornitori terzi di servizi. Anche nel caso della ricerca clinica sembra avvenire lo stesso fenomeno. In questa intervista cerchiamo, con l’ausilio di Marco Romano, Direttore Medico Europa di Chiltern International Srl, di capire come funziona una CRO e quali sono gli aspetti fondamentali di chi offre tali servizi nel campo dei clinical trials.
Dr. Romano, cos’è, per l’esattezza una CRO? Di cosa si occupa?
Una CRO è una Contract Research Organization o Organizzazione di Ricerca a Contratto, una società quindi appartenente al terziario con cui gli sponsor, in genere le aziende farmaceutiche, ma anche altri promotori, stipulano un contratto per assolvere a una o più mansioni relative a uno studio preclinico o clinico.
In Italia vi sono un centinaio di CRO, nazionali e internazionali in grado di offrire una gamma molto vasta di servizi soprattutto in ambito clinico dalla stesura di un protocollo al monitoraggio, all’analisi statistica ecc. Le CRO sono nate all’inizio degli anni ‘80 ma si sono sviluppate con una crescita anche del 20-30% annuo nel corso degli anni ‘90. In Italia le prime CRO internazionali sono comparse intorno alla metà degli anni ‘90 con Innovex, Quintiles, Parexel ecc.
Perché la necessità, da parte delle aziende farmaceutiche, dell’outsourcing?
I principali vantaggi dell’outsourcing consistono in una riduzione dei costi fissi, in una aumentata disponibilità di risorse e competenze specifiche e in una diminuzione dei tempi di esecuzione. Le aziende farmaceutiche da anni riducono il personale per ragioni di costi e quindi necessariamente devono ricorrere all’outsourcing
Inoltre, il fenomeno delle acquisizioni e delle fusioni ha, a mio parere, facilitato l’utilizzo delle CRO poiché da un lato la conseguenza delle grandi fusioni societarie è stata la drastica riduzione del personale e dall’altro perché queste fusioni hanno provocato un rallentamento di quasi tutti i programmi di sviluppo in seno alle aziende che sono state coinvolte nei processi di acquisizione/fusione.
Ciò ha avuto un impatto positivo sul numero di progetti di ricerca e sviluppo affidato alle CRO.
Quali sono, secondo Lei, le principali problematiche che deve affrontare una CRO?
I problemi che deve affrontare un’organizzazione di ricerca a contratto sono legati al mercato. I fattori decisivi nella competizione sono i costi, la qualità e i tempi. Una CRO ha il dovere di garantire la qualità in primo luogo e, contemporaneamente, il rispetto dei tempi di consegna.
Non è facile assicurare una buona qualità in tempi stretti; occorre, a mio giudizio, avere una struttura solida dal punto di vista finanziario che possa permettere di fare investimenti in tecnologie e soprattutto nelle risorse umane, vero patrimonio delle aziende del terziario. Ciò significa fare formazione, motivare e incentivare il personale, coinvolgerlo nelle decisioni per ottenere il massimo della prestazione.
Le CRO devono anche saper dire di no al cliente quando sono consapevoli di non poter soddisfare le esigenze di uno sponsor per qualsiasi ragione: mancanza di risorse, poche competenze specifi che, costi troppo elevati ecc.
Con questo voglio dire che l’aspetto, a mio parere, più importante nel rapporto sponsor-CRO è la
fiducia che si guadagna nel tempo, lavorando seriamente e con professionalità.
Dal suo punto di vista le aziende farmaceutiche si serviranno sempre più dei servizi offerti dalle CRO?
Assolutamente sì. Il settore è in continua espansione: negli anni novanta si è registrata una crescita annua delle CRO di oltre il 20% che ora si è assestata intorno al 12-13%. Le aziende continuano a fare outsourcing, anzi la gamma dei servizi che vengono affidati all’esterno sta aumentando e coinvolgendo tutte le fasi dello sviluppo di un farmaco. Il futuro vedrà una percentuale sempre maggiore di progetti di ricerca gestiti dalle CRO, per le ragioni già esposte.
Qual è e quale sarà la situazione a livello mondiale, visto e considerato che si sono aperti nuovi mercati nell’Est del mondo? E in Italia?
In futuro il numero totale delle CRO nel mondo diminuirà a seguito di acquisizioni e fusioni che stanno avvenendo anche nel nostro settore; tuttavia, stiamo assistendo alla nascita di nuove CRO in vari Paesi emergenti come il Centro e Sud America, l’India e il Sud Est Asiatico, oltre naturalmente alla quasi totalità dei Paesi dell’Est Europa. È chiaro che nei prossimi anni il numero di trials clinici che verranno svolti in questi Paesi sarà sempre maggiore, soprattutto quando occorre arruolare migliaia di pazienti in poco tempo come nella fase III dello sviluppo clinico dei farmaci. Pertanto, è necessario migliorare la qualità offerta dai nostri centri di ricerca, universitari e ospedalieri in quanto la competizione si farà sempre più ardua e la rapidità di esecuzione e i costi saranno probabilmente a nostro svantaggio. maggiore attenzione alla qualità, dunque, da parte di tutti gli “attori” coinvolti nello sviluppo di un nuovo farmaco (Sponsor, CRO, Sperimentatori, Autorità Regolatorie, Comitati Etici) se desideriamo davvero restare competitivi nei confronti dei Paesi emergenti e se vogliamo assolvere al nostro primo impegno sociale e professionale che è certamente quello di contribuire a migliorare la salute e la qualità di vita della popolazione.